martedì 29 settembre 2015

Un cantico per Leibowitz di Walter M. Miller

www.mondourania.com
Articolo di:  AleK

L'articolo di oggi riguarderà un classico della fantascienza oltre che un capolavoro senza tempo da leggere senza riserve. E sottolineo il senza tempo visto che stiamo per ripiombare nella guerra fredda, nel caso che qualcuno non se ne fosse accorto...

Come al solito, non vi parlerò dettagliatamente della storia o della struttura del libro, per quello c'è un articolo su Wikipedia (che vi consiglio di leggere), ma andrò direttamente, senza tanti preamboli o presentazioni, ad affrontare alcuni temi che mi hanno particolarmente interessato. E per farlo andrò molto, ma molto controcorrente, per lo meno rispetto alle varie recensioni lette in italiano o in inglese. Soprattutto per quanto riguarda il tema dell'Eutanasia.
Per farlo però è assolutamente necessario che riporti, come prova a supporto delle mie argomentazioni, parti del libro, tra cui il finale... anche se per la sua particolare struttura, questo non va a inficiare il piacere della lettura, capirete che leggersi il finale di un'opera potrebbe non essere esattamente la cosa più piacevole che si possa fare, è meglio dunque, nel caso non conosciate l'opera, che smettiate di leggere quando citerò l'estratto del libro. Ma tranquilli, vi avviserò esplicitamente prima di farlo, dunque la prima parte della recensione può essere letta tranquillamente.

Partiamo dicendo che i principali temi trattati non si discostano molto da quelli visti nel racconto Servocittà del quale vi parlai qualche mese fa, vengono semplicemente espansi e portati su un piano più pessimistico (per quanto possibile): la cieca ignoranza dell'uomo lo porta a distruggere l'unica cosa che lo avrebbe potuto salvare, incolpandola di un disastro dovuto solo a se stesso.
Non sono le bombe atomiche o il progresso, tantomeno la conoscenza, il vero pericolo. Il pericolo è l'ignoranza. E' solo per ignoranza che si costruiscono e si usano armi in grado di annientare la vita sulla Terra.
"L'ignoranza è regina. Molti non tratterebbero più profitto dalla sua abdicazione. Molti si arricchiscono grazie alla sua buia monarchia. Sono la sua corte, e nel suo nome defraudano e governano, si arricchiscono e perpetuano il loro potere"
 E' così sublime e ironico questo testo che il piacere nei ricordi è superiore a quello provato durante la lettura. Che sia sempre l'ignoranza la causa della rovina, che i carnefici che hanno usato il sapere per uccidere e i vendicatori distruttori del sapere coincidano nello stesso modello umano è una realtà inconfutabile. Il sapere non è mai un Male, il male è non comprenderlo e non studiare per farlo.
Ma il discorso non è neppure così semplificato nel testo, mentre la prima parte sarà focalizzata nel raccontare il tentativo di salvare quanto resta del vecchio sapere e di mostrare come nascono le superstizioni, la seconda parte tratterà di un tema molto, ma molto delicato: il rapporto tra gli Intellettuali (intesi come studiosi o ricercatori) e il Potere.
E l'ambiguità del rapporto emergerà tutta senza filtro: chi studia o fa ricerca ha bisogno di finanziamenti, chi finanzia detiene il potere e può usare per se quella conoscenza. Certo il personaggio che incarna lo Studioso è un po' parossistico, tra il bianco e il nero ci sono tante sfumature, ma il problema posto dall'opera è ancora tremendamente attuale e importante. E privo di soluzioni. Memorabile la frase conclusiva dell'abate (il soggetto a cui si riferisce è la conoscenza):
"L'umanità ne trarrà profitto, voi dite. Con il consenso di chi? Con il consenso di un principe che firma le sue lettere con una X?"
Che sottolinea la profonda ignoranza del governante che decideva del futuro del mondo ma non sapeva neppure leggere o scrivere e, senza vergogna, firmava con una X. Ed è sempre questa gente che prende le decisioni...

Poi arriviamo alla terza e ultima parte del libro e, tra vari temi, troviamo un'altro bel dibattito ancora attuale, quello sull'eutanasia/suicidio.
Viene portato avanti da uno dei protagonisti, l'abate dell'abbazia di San Leibowitz e dunque contrario, contro un personaggio secondario, ma entrambi espongono pienamente i contenuti alla base delle loro tesi, non si avverte il tentativo dell'autore di cercare di favorire idee di alcun tipo, solo di mostrare lo scontro tra due visioni opposte, quella religiosa che si basa sulla certezza che esista un Dio contrario all'interruzione volontaria della vita e quella atea che neppure prende in considerazione l'esistenza di un Dio. Ed è qua che la mia visione dell'opera diventa un po' eretica, perché è vero che durante il dibattito il narratore rimane neutrale, lasciando al lettore la libera interpretazione dei fatti, ma (per me) è anche vero che nel finale dell'opera prende una decisione piuttosto netta: né l'uno né l'altro avranno ragione, Dio esiste e non è affatto d'accordo che qualcuno possa soffrire per lui. In poche parole, il fianle del libro ribalta tutto e, checché se ne dica, l'autore sembra proprio essere a favore dell'eutanasia.
Per argomentare il perché di questa mia opinione dovrò però citare il passaggio finale del libro, dunque, se non lo avete ancora letto, evitate di continuare. Mentre se non lo avete letto e non avete intenzione di farlo, continuate pure, io però vi esorto a cambiare idea e a leggere il libro, perché è per me una delle migliori opere di fantascienza esistenti.


Attenzione, verrà svelato il finale.


Alla fine della terza parte l'abate protagonista finirà sepolto vivo sotto alle macerie di una chiesa e inizierà a riflettere sugli ultimi eventi e sul suo tentativo di far cambiare idea riguardo all'eutanasia a una giovane madre e a sua figlia, ormai spacciate e sofferenti, dicendole di donare il loro dolore a Dio. Morente e immobilizzato sotto le pareti crollate immaginerà la sua situazione come un prova di fede contro l'ipocrisia: anche lui deciderà di affrontare quel dolore senza cercare di anticipare la sua morte, anzi, sarà grato Dio per fargli provare la stessa sofferenza patita dalla bimba.
A questo punto però accade un evento straordinario, arriva il Messia. Quello vero. E, a dispetto di quanto si legge in giro riguardo la morte del protagonista, gli donerà la vita per poi abbandonarlo solo sotto le macerie.

Questo è il passaggio dell'edizione italiana:

Rimase senza fiato prima di avere finito. Lo sguardo gli si annebbiò; non riusciva più a distinguere la figura di lei. Ma dita fresche gli toccarono la fronte, e la udì dire una parola: — Vivi.
Poi lei scomparve. Poté udire la sua voce allontanarsi fra le nuove rovine: “la-la-la, la-la-la…”.
L'immagine di quei freschi occhi verdi rimase con lui quanto la vita. Non chiese perché Dio avesse scelto di far crescere una creatura di originale innocenza dalla spalla della signora Grales, o perché Dio le avesse dato i doni preternaturali dell'Eden… quei doni che l'Uomo aveva cercato di strappare al Cielo con la forza bruta, fin da quando li aveva perduti. Aveva veduto l'innocenza originale, in quei giorni, e una promessa di resurrezione. Quell'unico sguardo era stato un grande dono, e pianse di gratitudine. Poi giacque con il viso nella terra umida e attese.
Non venne null'altro… nulla che egli vedesse, o sentisse, o udisse.

Mentre questo è lo stesso passaggio in originale:
He ran out of breath before be had finished. His vision went foggy; he could no longer see her form. But cool fingertips touched his forehead, and he heard her say one word:
“Live.”
Then she was gone. He could hear her voice trailing away in the new ruins. “la la la, la-la-la…”
The image of those cool green eyes lingered with him as long as life. He did not ask why God would choose to raise up a creature of primal innocence from the shoulder of Mrs. Grales, or why God gave to it the preternatural gifts of Eden-these gifts which Man had been trying to seize by brute force again from Heaven since first he lost them. He had seen primal innocence in those eyes, and a promise of resurrection. One glimpse had been a bounty, and he wept in gratitude. Afterwards he lay with his face in the wet dirt and waited.
Nothing else ever came-nothing that he saw, or felt, or heard.

L'abate è immobilizzato e morente, ma il Messia, toccandolo in fronte gli dirà: "Vivi".
E lui continuerà a vivere, soffrendo e lasciando pure intendere che nessuno arriverà ad aiutarlo.
L'intera scena può essere vista come una punizione inflitta all'abate per aver imposto, in nome di Dio, la sofferenza alla giovane madre e a sua figlia. E per me ci sono davvero pochi dubbi al riguardo, gli viene negata la morte e viene lasciato lì, vivo, sotto le macerie. Se avesse agito nella grazia di Dio, non ce ne sarebbe stato bisogno.
Mi si può obiettare che non è poi così certa l'esistenza di Dio e che potrebbe esser il tutto frutto di un'allucinazione, ma nel libro è chiara la sua esistenza, l'ebreo errante, in attesa del suo avvento, esiste veramente e da migliaia di anni pesta il suolo terrestre, tanto da essere l'unico personaggio comune a tutte e tre le storie narrate (in un arco temporale di 1800 anni).
Per queste ragioni sostengo che Un cantico per Leibowitz, pur trattando temi religiosi, pur parlando di un mondo in cui Dio esiste veramente e pur cercando di riabilitare l'utilità degli ordini monastici per il progresso del genere umano, resta un'opera squisitamente laica e molto critica verso certi aspetti religiosi. E' un'opera scritta da un cattolico che cerca di descrivere gli aspetti positivi legati alla religione in maniera molto critica e senza fare propaganda, per queste ragioni non reputo il libro Davy l'eretico di Pangborn (del quale vi parlai qualche tempo fa), una risposta atea al libro di Miller, non sono in antitesi tra loro, in entrambi i testi il Male è rappresentato dall'ignoranza. In Davy i protagonisti sono atei, in questo testo sono religiosi, ma in entrambi non vi sono schieramenti buoni/cattivi dipendenti dal credo, entrambi affrontano il tema della nascita della superstizione e in entrambi, dopo il disastro, coloro che daranno il colpo di grazia all'umanità saranno gli oscurantisti, indipendentemente dal credo religioso.

In conclusione, due libri da leggere. Se dovessi sbilanciarmi e sceglierne uno, nonostante il mio ateismo, sceglierei Un cantico per Leibowitz, perché mi è sembrato avere una visione globale dei temi da trattare più armoniosa, anche se probabilmente la cosa è dovuta alla struttura ciclica dell'opera. In ogni caso sono da conoscere entrambi, poiché si complementano nel trattare certi argomenti e non per il differente credo religioso dei due autori (io sono un estremista, queste buffonate politically correct non le posso soffrire) si complementano perché da partenze differenti arrivano a conclusioni simili, mostrando aspetti differenti dei problemi narrati.

3 commenti:

  1. "Non sono le bombe atomiche o il progresso, tantomeno la conoscenza, il vero pericolo. Il pericolo è l'ignoranza"
    Quanto è vero! Questo sarebbe un libro da far leggere obbligatoriamente nelle scuole di questa Italia che ha subito un' analfabetismo di ritorno che fa veramente spavento.

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    1. Già, la tragedia è pensare che per un certo tempo, forse, qualcuno ha pensato o si è illuso che il libro non fosse più attuale...

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  2. Uno dei miei libri preferiti. Letto nel settembre o ottobre 2010, mi pare, e lo consiglio continuamente da allora.

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