venerdì 26 giugno 2015

Le estrazioni di DNA

Immagine presa da QUA
Articolo di: AleK

Questo articolo sarà abbastanza tecnico, anche se cercherò di renderlo il più divulgativo possibile.
Vi parlerò un po' dei fondamenti su cui si basa una estrazione (o purificazione) di DNA. Naturalmente, semplificherò molto le cose, dunque questo articolo non va preso come un trattato rigorosamente scientifico, ma come un testo di divulgazione.

Ovviamente, se non lo aveste ancora fatto, consiglio di leggere prima l'articolo Che cosa non è il DNA? precedentemente pubblicato su questo blog, nel quale spiego cos'è e cosa non è l'acido desossiribonucleico (DNA), vi sarà utile per comprendere meglio questo articolo.

Il termine “Estrazione di DNA” si riferisce a un processo chimico/fisico di purificazione e isolamento del DNA da un campione biologico (sangue, tessuto, cellule in sospensione, ecc...) utilizzato in vari ambiti, che vanno dalla ricerca scientifica alla diagnostica, passando per la medicina forense.
Grazie all'enorme successo di alcune serie televisive ormai è un'espressione di dominio pubblico, ma vediamo nel dettaglio come si porta a termine e su quali principi si basa...

Innanzitutto ci sono svariati sistemi per estrarre il DNA dalle cellule senza distruggerlo, dai sistemi “caserecci” (mi si passi il termine divulgativo, sappiate che in realtà sono protocolli scientifici che hanno rivoluzionato il lavoro in laboratorio e per nulla banali, anche se al giorno d'oggi li si dà per scontati) agli appositi kit venduti da diverse imprese specializzate in prodotti per la ricerca scientifica e la diagnostica.
Il vantaggio nell'uso di questi kit rispetto ai protocolli tradizionali sta soprattutto nel risparmio di tempo, nella comodità e (dicono le imprese venditrici) nella purezza del campione ottenuto.

Questo articolo si baserà sui sistemi tradizionali di estrazione, sappiate che i kit, nonostante le apparenti differenze, si basano più o meno sugli stessi principi chimico-fisici... in futuro probabilmente spiegherò anche il funzionamento di questi ultimi, per lo meno di qualcuno, visto che ci sono differenze concettuali tra un kit e l'altro.

Tutte le estrazioni di acidi nucleici (DNA totale, DNA Plasmidico, RNA), con le dovute differenze, si basano su tre macro tappe fondamentali:

  1. La lisi (distruzione) delle cellule
  2. La denaturalizzazione e precipitazione delle proteine
  3. La precipitazione dell'acido nucleico

Questo articolo è specifico per la purificazione del DNA totale e dunque non è specifica per il DNA plasmidico (DNA di forma circolare e di piccole dimensioni presente nei batteri oltre al DNA cromosomico) o per l'RNA.
In teoria...
In pratica, assieme al vostro DNA tirerete giù un sacco di RNA, tanto da doverlo degradare con appositi enzimi, questo perché si definisce l'RNA come “Quella molecola che, volendola purificare, si degraderà facendovi perdere ore importanti della vostra vita, mentre se non la volete purificare, sarà presente in abbondante copia e incredibile qualità alla fine della vostra reazione”... drammi quotidiani di laboratorio.

La lisi cellulare.

Va da sé che se si vuol tirar fuori il DNA è necessario “rompere” la cellula, il problema è che bisogna farlo stando attenti a non distruggerlo...
La cellula è una unità altamente compartimentata (mi riferisco alle cellule eucariote), se la distruggiamo esponiamo il DNA (che si trova generalmente nel nucleo) all'azione di enzimi che potrebbero degradarlo. Questi enzimi si chiamano “nucleasi” e, non solo sono abbondanti all'interno delle cellule, ma la loro attività è anche finemente regolata dalla cellula permettendole la manipolazione del proprio DNA (sì, non l'abbiamo inventata noi, l'abbiamo copiata) e intervengono anche in difesa dall'attacco dei Virus.

Per far ciò dobbiamo preparare una soluzione speciale che ci permetta di distruggere la cellula, disattivare (inibire) queste nucleasi e il tutto senza danneggiare il DNA. Questa soluzione può essere preparata in vari modi e con varie sostanze, io vi dirò la “funzione” di queste sostanze e lascerò il nome solo come esempio.

Generalemente se ne usano 3:

  1. Un detergente
  2. Un inibitore delle nucleasi
  3. Una molecola che permetta di creare una soluzione tampone. Ovvero una soluzione in grado di mantenere più o meno costante il pH.

1) Il detergente è utile per “sciogliere” le membrane cellulari, tra cui la membrana plasmatica, che sono composte in gran parte da lipidi. L'effetto è lo stesso che si ottiene lavandosi le mani col sapone o un detergente per eliminare il grasso...
Uno dei detergenti più utilizzati si chiama Sodio dodecilsolfato (SDS), noto anche come Laurilsolfato e presente in diversi composti cosmetici (e il complottismo s'impenna!). Normalmente se ne usa una soluzione allo 0,5%, ma questo dipende dal protocollo utilizzato.
Non lasciatevi intimorire dall'idea che il Laurilsofato possa lisare le membrane cellulari, qualsiasi detergente o sapone può farlo, non c'è nulla di pericoloso, d'altra parte quando lavate i piatti dovete usare un detergente per sciogliere i grassi (li rendete solubili in acqua in modo da poterli lavar via), ecco i fosfolipidi che compongono le membrane cellulari sono grassi, dunque un detergente ci permette di lisare le cellule.

Da notare che il detergente è utile anche per denaturalizzare in parte le proteine. Col termine denaturalizzare intendo far perdere la forma (conformazione) originale delle proteine.

Infatti le proteine sono lunghe catene di amminoacidi che arrotolandosi su se stesse arrivano ad avere una specifica forma. Questa forma determina anche la loro funzione (ciò significa che se la cambiamo, la proteina perde la sua funzione). Questa struttura o conformazione è mantenuta attraverso varie “interazioni tra atomi”: elettrostatiche (gli amminoacidi possono avere cariche positive e negative che interagiscono tra loro); ponti a idrogeno (le stesse interazioni che esistono tra le molecole d'acqua); di Van der Waals (le stesse interazioni che permettono al geco di camminare in verticale sulle superfici o a certi grassi di essere solidi, come il burro, ad esempio); ponti disolfuro (legami forti tra gli atomi di zolfo, gli stessi legami che determinano i capelli ricci. Questi legami non vengono distrutti dai normali sistemi di denaturalizzazione, è necessaria una reazione chimica di ossido-riduzione) e, in fine, effetto idrofobico.
Con idrofobico si definisce qualsiasi cosa che non possa sciogliersi in acqua, mentre con idrofilico qualsiasi sostanza che lo possa fare. Alcuni amminoacidi sono idrofilici altri idrofobici, ovvero, alcuni possono solubilizzarsi in acqua altri no, come l'olio. Quando si trovano in una catena proteica gli amminoacidi idrofilici tenderanno ad avvicinarsi alle molecole d'acqua, quelli idrofobici ad allontanarsi.
Siccome le proteine acquisiscono la loro conformazione in acqua, la principale forza che permette la formazione della struttura è l'effetto idrofobico. Le altre interazioni avvengono quasi come conseguenza e partecipano alla stabilizzazione della proteina. Fanno eccezione i ponti disolfuro che vengono generati con l'aiuto di un macchinario enzimatico e sono altamente specifici.

Un detergente è una molecola molto particolare, perché è formata da una parte idrofobica (repelle l'acqua) e una parte idrofilica (ha affinità per l'acqua) dunque può interagire sian con le molecole d'acqua che con le sostanze idrofobiche allo stesso tempo, per quello sono in grado di “pulire”: con la parte idrofobica si mescolano ai grassi, con quella idrofilica all'acqua. Il sisultato è che aumentano la solubilità dei grassi (che sono le sostanze organiche idrofobiche) nell'acqua.
Sulle proteine agiscono allo stesso modo: con la parte idrofobica entrano nelle “tasche” idrofobiche delle proteine e con quella idrofilica restano a contatto con l'acqua. In questo modo le proteine si “aprono” e perdono la loro struttura.

Tutto ciò ci aiuta nella purificazione, perché ciò favorisce la denaturalizzazione delle proteine strutturali (che mantengono la struttura della cellula). Inoltre non bisogna dimenticare che i cromosomi non sono strutture formate da DNA puro, ma da DNA complessato con proteine, come gli istoni, ad esempio, ai quali è arrotolato attorno. Per purificarlo è necessario separare il DNA dalle proteine, denaturalizzandole e rompendo i legami elettrostatici che formano con quest'ultimo.


2) L'inibitore delle nucleasi serve, appunto, per neutralizzare questi enzimi e impedirgli di degradare il DNA. Per nostra fortuna il processo è abbastanza semplice, in quanto la funzionalità di questi enzimi dipende dalla presenza di cationi bivalenti (in parole povere non funzionano in assenza di ioni Calcio, alcune e Magnesio, altre), perciò basterà aggiungere alla nostra soluzione un agente chelante, ovvero una molecola che sequestra gli ioni bivalenti come il Calcio e il Magnesio dall'ambiente in cui si trovano.
Il composto più utilizzato è solitamente l'EDTA ad una certa concentrazione che dipenderà dal protocollo usato (da notare che l'EDTA si usa anche come anticoagulante durante i prelievi di sangue, in quanto gli enzimi che causano la coagulazione - proteasi – sono anch'essi dipendenti dallo ione Calcio).


3) La soluzione tampone, come dicevo, serve per mantenere stabile il pH.
Il pH non è altro che una misurazione dei protoni presenti in una soluzione, più sono concentrati, più è acida una soluzione. Ora, il valore di pH è molto importante, perché variando può compromettere l'esperimento ed è facile farlo variare, sia perché nella cellula ci sono compartimenti a diversi pH (e distruggendola si mescolerebbero) sia perché le sostanze che usiamo hanno pH diversi. E' dunque necessario preparare una soluzione speciale in grado di mantenere il pH più o meno costante anche aggiungendo sostanze acide o basiche.
Generalmente questa soluzione la si ottiene utilizzando una molecola chiamata Tris, con la quale si prepara una soluzione a pH 8. E' importante che il pH resti vicino al valore 8 in quanto a questa concentrazione protonica il DNA aumenta la sua solubilità in acqua. E ciò ci facilità la purificazione...


Preparata questa super soluzione fatta di detergente, inibitore di proteasi e soluzione tampone la si aggiunge alle cellule e si agita, in modo da lisarle. Nel caso di tessuti si può usare anche un omogeneizzatore.

A questo punto molti aggiungono al lisato la Proteinasa K, un enzima che degrada le proteine, suggerendo che ciò potrebbe aumentare la purezza del DNA purificato. Per utilizzarla è necessario lasciare il nostro campione tutta la notte a 37°C in presenza di proteinasa K.
La mia esperienza personale è che, non solo la proteinasa K ti fa perdere 12-15 ore di lavoro spostando la fine della purificazione al giorno dopo, ma pure non migliora di molto il risultato finale... non ho mai notato differenze significative dall'usarla o no, se non quella di aver perso mezza giornata.
Tra l'altro il suo utilizzo mi genera diverse perplessità: degradando le proteine potrebbe generare polipeptidi (frammenti di proteina) idrofilici impossibili da eliminare con il passaggio seguente di denaturalizzazione.
Ma ovviamente questa è un'esperienza personale, nel lavoro quotidiano di laboratorio, ognuno cerca di ottimizzare i protocolli alle proprie necessità. Necessita che sono quasi sempre completamente diverse, anche lavorando su progetti simili.


La denaturalizzazione e precipitazione delle proteine.

Come abbiamo visto il detergente ci offre un certo aiuto nella denaturalizzazione proteica, ma non è sufficiente e, soprattutto, non ci aiuta nella loro rimozione.
Per far ciò è necessario un altro passaggio.
In questo caso i protocolli si dividono in due tipi: quelli che usano il fenolo e quelli che usano il cloruro di sodio (sale da cucina).
Vediamoli entrambi.

Il fenolo
Come potete notare nell'illustrazione in basso, il fenolo è un composto definito aromatico formato dal benzene (esagono) più un gruppo chiamato ossidrilico (-OH).
https://it.wikipedia.org/wiki/Fenolo

 Generalmente il gruppo ossidrilico è idrofilico, ma nel caso del fenolo questa sua proprietà è “limitata” (per via dell'anello aromatico del benezene che “richiama” e stabilizza gli elettroni dell'ossidrile impedendogli di interagire con le molecole d'acqua. E se una sostanza non interagisce con le molecole d'acqua, non è solubile o è scarsamente solubile).
Da ciò consegue che il fenolo è un composto idrofobico (non si scioglie in acqua) ma con una piccola propensione ad interagire con sostanze idrofiliche (grazie all'ossidrile) questo gli consente di avere una certa, piccola, solubilità in acqua, circa 84 g/l.
Un'altra molecola, il cloroformio, molto più idrofobico ha una solubilità di 8 g/l, mentre il sale da cucina (cloruro di sodio), che è idrofilico, 358 g/l.
 Come potete notare ci sono vari stadi di “idrofobicità”. 

[In natura ci sono gli estremi, ma ci sono anche i gradi intermedi e sono tutti fondamentali. Di fatto anche gli estremi non sono altro che due punti qualsiasi come gli intermedi, solo che sono all'inizio e alla fine di una scala creata dall'uomo. E' importante considerarlo quando si parla del concetto di Giusto mezzo. In natura semplicemente non esiste, ogni valore è importante alla stessa maniera, che sia a un estremo o no.]
 
Queste caratteristiche rendono il fenolo un potente agente denaturalizzante, infatti, come abbiamo visto, la struttura delle proteine è determinata dal mezzo in cui sono disciolte. Fisiologicamente questo mezzo è l'acqua.
Se noi le mettiamo nel fenolo, cambieranno la struttura esponendo le parti idrofobiche e nascondendo le parti idrofiliche. Ovvero si denaturalizzeranno. Una volta denaturalizzate difficilmente ritorneranno alla loro conformazione originaria.
Dunque se noi aggiungiamo il fenolo alla nostra soluzione contenente le cellule lisate e mescoliamo (il fenolo si mescola poco con l'acqua, perché venga bene in contatto con le strutture cellulari è necessario mescolare per agitazione) le proteine subiranno il processo di denaturalizzazione e diverranno molecole idrofobiche, dunque si separeranno dall'acqua e si mescoleranno col fenolo.

A questo punto (e dopo aver centrifugato) otterremo due (tre) fasi (vedere immagine di apertura), una superiore acquosa, in cui sarà disciolto il nostro DNA e una inferiore organica, formata dal fenolo, dai lipidi e dalle proteine denaturalizzate.
Una terza fase formata da proteine parzialmente denaturalizzate e molecole anfipatiche (che hanno parti idrofobiche e parti idrofiliche e dunque possono interagire sia con l'acqua che con le sostanze idrofobiche) potrebbe venire a formarsi tra la fase superiore e quella inferiore.
Sarà ora necessario separare la nostra fase acquosa (che contiene il DNA libero da proteine disciolto nell'acqua) e ripetere nuovamente un passaggio di denaturalizzazione, questa volta però utilizzando una miscela di fenolo:cloroformio.
Il cloroformio è un'altra molecola idrofobica con potere denaturalizzante, anche se minore, utile in questo caso per “depurare” la fase acquosa dal fenolo presente.
Come detto sopra, il fenolo ha una certa solubilità e resterebbe a contaminare la nostra “fase acquosa” contenente il DNA, aggiungendo il cloroformio, mescolando e centrifugando nuovamente si vengono a formare ancora due fasi: una acquosa, contenete il DNA e una organica contenente fenolo, cloroformio e altre proteine denaturalizzate non eliminate in precedenza. Il fenolo precedentemente presente nella fase acquosa “seguirà” il cloroformio, essendo più propenso a mescolarsi con quest'ultimo piuttosto che con l'acqua.

E' importante che il fenolo sia equilibrato con un buffer a pH 8 (come la soluzione di lisi) in quanto un pH acido diminuirebbe la solubilità del DNA, diminuendone la quantità presente nella fase acquosa e impedendone la purificazione.

Il cloruro di sodio.
Un'alternativa all'uso del fenolo consiste nell'aggiungere alla nostra soluzione di cellule lisate una soluzione sovrasaturata di cloruro di sodio.
Questo genera il fenomeno chiamato salting-out.

Le proteine restano disciolte in acqua grazie a una “cappa” (cappa di solvatazione) formata dalle molecole di acqua che interagiscono con le cariche elettrostatiche degli amminoacidi. Questa cappa impedisce alle proteine di interagire tra loro e di rimanere in sospensione.
Se noi aumentiamo la concentrazione di sale, modifichiamo la disposizione spaziale delle molecole d'acqua. In questo caso il cloruro di sodio è un sale “cosmotropico”, ovvero auenta l'ordine nella disposizione spaziale delle molecole d'acqua. Quest'ultime saranno più propense a creare un “reticolo” ordinato di interazioni tra loro e gli ioni di sodio e cloro, piuttosto che a interagire con le cariche degli amminoacidi.
Di fatto si “rompe” la cappa di solvatazione attorno alle proteine e queste ultime potranno iniziare ad interagire tra loro, formano complessi sempre più grandi e, alla fine, precipitando.
Un fenomeno analogo avviene nella formazione dei Delta dei fiumi. Le particelle di fango vengono trasportate in sospensione dalla corrente del fiume, finché non arrivano al mare dove, a causa dell'aumento della salinità, inziano a interagire fra loro precipitando.

Un'altro effetto dovuto all'aumento della concentrazione di cloruro di sodio è la rottura dei legami elettrostatici, separando dunque le proteine dal DNA.

Una volta aggiunto il sale, mescolato e centrifugato, otterremo una fase acquosa con il nostro DNA in sospensione e un precipitato sul fondo del tubo di reazione formato dal sale e dalle molecole precipitate per salting-out.

E' necessario a questo punto aggiungere cloroformio, mescolare e centrifugare in modo da eliminare ulteriori proteine non precipitate e altre molegole idrofobiche eventualmente presenti.

Quale tecnica scegliere?

Dipende...
Col fenolo si ha un'estrazione molto più pura e rapida, però è tossico e pericoloso.
Col sale la purezza e la quantità di DNA che si ottiene è inferiore, però è una tecnica sicura.
Dunque, se si lavora con tantissimi campioni (e sono abbondanti) si usa il sale, se si lavora con pochi e scarsi, il fenolo.


La precipitazione dell'acido nucleico.

A questo punto abbiamo una soluzione acquosa contenente il DNA e varie impurità idrofiliche. Questa volta, per separare il DNA dalle impurità, facciamo il contrario: facciamo precipitare l'acido nucleico sul fondo del tubo di reazione ed eliminiamo la soluzione acquosa con le impurità.

Per far ciò aggiungiamo 2-3 volumi di Etanolo al 100% ghiacciato e 1/10 di volume di acetato di sodio 3M a pH 5,2.
In etanolo il DNA non sarà più solubile e precipiterà. Ovviamente è sempre bene dargli una “spintarella” con la centrifuga.

Il sale di acetato di sodio (il sodio nello specifico) neutralizzerà le cariche negative del DNA che gli permettono la solubilità interagendo con le molecole d'acqua. Mentre l'etanolo si sostituirà all'acqua distruggendo anche in questo caso la cappa di solvatazione della molecola. A questo punto accadrà qualcosa di analogo visto con le proteine: le molecole di DNA interagiranno tra loro formando una struttura macroscopica visibile a occhio nudo (dipende dalla concentrazione del DNA) simile ad una medusa che, centrifugando, precipiterà sul fondo del tubo di reazione.
Dal punto di vista chimico-fisico stiamo cambiando la permittività elettrica del solvente.
Secondo la legge di Coulomb:


L'interazione/repulsione tra due cariche (in questo caso tra molecole di DNA stbilizzate dal sale) è direttamente proporzionale all'intensità delle cariche e inversamente proporzionale al quadrato della distanza a cui si trovano (più sono lontane, meno interagiscono) → q1*q2/d2
Però è anche inversamente proporzionale al valore della permittività elettrica del solvente → 1/εr.
Essendo la permittività elettrica dell'acqua molto elevata, l'interazione è limitata e dunque la solubilità è elevata, aggiungendo etanolo, che ha una permittività elettrica più bassa, si aumentano le interazioni tra le cariche, con la conseguente precipitazione del DNA.

A questo punto si elimina la fase acquosa e si lava il DNA con etanolo al 70%, per eliminare i sali presenti e poi si risospende in acqua distillata.


Dopo di ciò il DNA è pronto per l'utilizzo. Studi genetici, di medicina forense, di diagnostica o di biologia molecolare, qualsiasi cosa si abbia intezione di fare e che riguardi i geni o il nostro DNA, il primo passo è sempre quello di estrarlo.
Anche se a noi interessa lo studio di un solo gene, dobbiamo iniziare estraendo tutto il DNA.

Nei prosimi articoli continuerò a raccontarvi di altre tecniche di biologia molecolare che fanno parte della pratica di laboratorio quotidiana di tantissimi ricercatori e che seguono l'estrazione di DNA e probabilmente lascerò anche qualche resoconto su quelli che sono gli ostacoli contro cui si sbattono tali ricercatori praticamente tutti i giorni, in fondo questo blog è seguito anche da qualche scrittore, magari trova l'ispirazione per caratterizzare al meglio qualche personaggio, visto che gli scienziati finiscono sempre per esser trasformati in macchiette esaltate o in tutto fare alla Archimede Pitagorico...

Come sempre, se avete dubbi, lasciate un commento.

5 commenti:

  1. buongiorno, sto studiando questi argomenti perchè a breve avrò un esame e questo articolo è riuscito a chiarirmi alcuni aspetti. la ringrazio molto :)
    tuttavia avrei dei dubbi. riguardo al secondo passaggio: come faccio ad essere certa, o meglio, abbastanza sicura che insieme al dna non precipitino anche delle proteine rimaste in soluzione perchè particolarmente solubili e non eliminabili con il passaggio fenolo/cloroformio o con il cloruro di sodio? o la quantità è talmente scarsa che non ce ne dobbiamo preoccupare? aggiungere invece la proteinasi k in questo momento dell'estrazione, cioè prima della precipitazione del dna per (eventualmente) rendere ancora più solubili le proteine rimaste in soluzione e creare così una differenza che ci aiuti nella purificazione, sarebbe un'eresia?
    inoltre a me è sempre stato detto che le proteinasi K servono, assieme all'EDTA a eliminare/inibire le nucleasi. per quanto da lei osservato allora, a questo scopo, basterebbe solo l'EDTA?
    scusi la confusione, grazie ancora.

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    1. Ciao Giulia, scusa per il ritardo nel rispondere.
      Sì, la contaminazione del campione può essere un problema. E non solo proteine, ma anche carboidrati o fenolo possono contaminare la nostra soluzione. Per questo durante la quantificazione del DNA, usando lo spettrofotometro, misuriamo l'assorbanza anche a 280 e 230 nm, i rapporti delle letture a 260 nm/280 nm e 260/230 ci danno un'idea della purezza del campione.
      In caso di contaminazioni, che a volte possono compromettere i nostri esperimenti, è necessario ripetere le estrazioni. Di solito, con un po' di pratica, il risultato finale migliora. Nel caso di estrazioni "difficili", si può ricorrere a un kit commerciale.
      Riguardo alla domanda sulla proteinasi K, sì, è riportata come proteinasi utilizzata anche per inattivare le nucleasi.
      Come scrivevo, il protocollo di estrazione dipende molto dall'esperienza e dalla necessità. La mia esperienza è limitata alle estrazioni di DNA da colture cellulari e in questo ambito non ho notato differenze nel risultato finale usandola o no. L'EDTA è stato più che sufficiente. Suppongo ci siano casi in cui possa essere necessario usarla, dipende molto dal materiale di partenza da cui si vuole estrarre l'acido nucleico.
      In bocca al lupo per il tuo esame!

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  2. Buonasera, ho fatto in casa l'esperimento dell'estrazione del DNA della banana. Ho due domande: Potresti dirmi in modo approfondito perchè il DNA diventa visibile con l'aggiunta dell'etanolo e perchè l'etanolo va utilizzato freddo (circa un'ora di freezer). inoltre qual'è il ruolo del sale (da cucina). In attesa di riscontro saluto cordialmente!

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    1. Ciao Gianni, innanzitutto una premessa: il DNA non è sempre visibile dopo l'aggiunta di etanolo, dipende dalla quantità disciolta nella soluzione acquosa.
      Premesso questo, diventa generalmente visibile perché le molecole di DNA, "precipitando" si aggregano tra loro in uno spazio limitato formando un complesso di dimensioni tali da essere visibile a occhio nudo. Per fare un esempio metaforico, centinaia di moscerini in uno spazio aperto vasto sono praticamente invisibili (a meno che non ci volino davanti alla faccia), però se iniziano a volare assieme formano una nube nera facilmente identificabile.
      L'etanolo si usa generalmente freddo perché la temperatura modifica la solubilità delle sostanze (principio di Le Chatelier). Nel caso del DNA, alte temperature favorisco la sua solubilità dunque per farlo precipitare è meglio lavorare a basse temperature. Ma anche in questo caso dipende molto dal protocollo che si usa, se si lavora con parecchio materiale di partenza si può tranquillamente usare etanolo a temperatura ambiente e ottenere una buona quantità di DNA.
      Il sale da cucina (cloruro di sodio) in alta concentrazione rende le proteine meno solubili e ne permette la precipitazione, così da poterle separare dal DNA.

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  3. CIAO, ho un dubbio, come posso avere la certezza, senza l'aiuto di uno microscopio (ecc..), che quello che ho prelevato è effettivamente DNA.

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