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Immagine presa da QUA |
Questo articolo sarà abbastanza tecnico, anche se cercherò di renderlo il più divulgativo possibile.
Vi parlerò un po' dei fondamenti su cui si basa una estrazione (o purificazione) di DNA. Naturalmente, semplificherò molto le cose, dunque questo articolo non va preso come un trattato rigorosamente scientifico, ma come un testo di divulgazione.
Ovviamente, se non lo aveste ancora fatto, consiglio di leggere prima l'articolo Che cosa non è il DNA? precedentemente pubblicato su questo blog, nel quale spiego cos'è e cosa non è l'acido desossiribonucleico (DNA), vi sarà utile per comprendere meglio questo articolo.
Il termine “Estrazione
di DNA” si riferisce a un processo chimico/fisico di purificazione
e isolamento del DNA da un campione biologico (sangue, tessuto,
cellule in sospensione, ecc...) utilizzato in vari ambiti, che vanno
dalla ricerca scientifica alla diagnostica, passando per la medicina
forense.
Grazie all'enorme successo
di alcune serie televisive ormai è un'espressione di dominio
pubblico, ma vediamo nel dettaglio come si porta a termine e su quali
principi si basa...
Il vantaggio nell'uso di
questi kit rispetto ai protocolli tradizionali sta soprattutto nel
risparmio di tempo, nella comodità e (dicono le imprese venditrici)
nella purezza del campione ottenuto.
Questo articolo si baserà
sui sistemi tradizionali di estrazione, sappiate che i kit,
nonostante le apparenti differenze, si basano più o meno sugli stessi principi
chimico-fisici... in futuro probabilmente spiegherò anche il funzionamento di questi ultimi, per lo meno di qualcuno, visto che ci sono differenze concettuali tra un kit e l'altro.
Tutte le estrazioni di
acidi nucleici (DNA totale, DNA Plasmidico, RNA), con le dovute
differenze, si basano su tre macro tappe fondamentali:
- La lisi (distruzione) delle cellule
- La denaturalizzazione e precipitazione delle proteine
- La precipitazione dell'acido nucleico
Questo articolo è
specifico per la purificazione del DNA totale e dunque non è
specifica per il DNA plasmidico (DNA di forma circolare e di piccole dimensioni presente nei batteri oltre al DNA cromosomico) o per l'RNA.
In teoria...
In pratica, assieme al
vostro DNA tirerete giù un sacco di RNA, tanto da doverlo degradare
con appositi enzimi, questo perché si definisce l'RNA come “Quella
molecola che, volendola purificare, si degraderà facendovi perdere
ore importanti della vostra vita, mentre se non la volete purificare,
sarà presente in abbondante copia e incredibile qualità alla fine
della vostra reazione”... drammi
quotidiani di laboratorio.
La
lisi cellulare.
Va da
sé che se si vuol tirar fuori il DNA è necessario “rompere” la
cellula, il problema è che bisogna farlo stando attenti a non
distruggerlo...
La
cellula è una unità altamente compartimentata (mi riferisco alle
cellule eucariote), se la distruggiamo esponiamo il DNA (che si trova
generalmente nel nucleo) all'azione di enzimi che potrebbero
degradarlo. Questi enzimi si chiamano “nucleasi” e, non solo sono
abbondanti all'interno delle cellule, ma la loro attività è anche finemente regolata dalla cellula permettendole la manipolazione del proprio
DNA (sì, non l'abbiamo inventata noi, l'abbiamo copiata) e
intervengono anche in difesa dall'attacco dei Virus.
Per
far ciò dobbiamo preparare una soluzione speciale che ci permetta di
distruggere la cellula, disattivare (inibire) queste nucleasi e il tutto senza danneggiare il DNA. Questa soluzione può
essere preparata in vari modi e con varie sostanze, io vi dirò la
“funzione” di queste sostanze e lascerò il nome solo come
esempio.
Generalemente
se ne usano 3:
- Un detergente
- Un inibitore delle nucleasi
- Una molecola che permetta di creare una soluzione tampone. Ovvero una soluzione in grado di mantenere più o meno costante il pH.
1) Il
detergente è utile per “sciogliere” le membrane cellulari, tra
cui la membrana plasmatica, che sono composte in gran parte da
lipidi. L'effetto è lo stesso che si ottiene lavandosi le mani col
sapone o un detergente per eliminare il grasso...
Uno
dei detergenti più utilizzati si chiama Sodio
dodecilsolfato (SDS),
noto anche come Laurilsolfato e presente in diversi composti
cosmetici (e il complottismo s'impenna!). Normalmente se ne usa una
soluzione allo 0,5%, ma questo dipende dal protocollo utilizzato.
Non lasciatevi intimorire dall'idea che il Laurilsofato possa lisare le membrane cellulari, qualsiasi detergente o sapone può farlo, non c'è nulla di pericoloso, d'altra parte quando lavate i piatti dovete usare un detergente per sciogliere i grassi (li rendete solubili in acqua in modo da poterli lavar via), ecco i fosfolipidi che compongono le membrane cellulari sono grassi, dunque un detergente ci permette di lisare le cellule.
Da
notare che il detergente è utile anche per denaturalizzare in parte
le proteine. Col termine denaturalizzare intendo far perdere la forma (conformazione) originale delle proteine.
Infatti
le proteine sono lunghe catene di amminoacidi che
arrotolandosi su se stesse arrivano ad avere una specifica forma.
Questa forma determina anche la loro funzione (ciò significa che
se la cambiamo, la proteina perde la sua funzione). Questa struttura
o conformazione è mantenuta attraverso varie “interazioni tra
atomi”: elettrostatiche
(gli amminoacidi possono avere cariche positive e negative che
interagiscono tra loro); ponti
a idrogeno (le stesse
interazioni che esistono tra le molecole d'acqua); di Van
der Waals (le stesse
interazioni che permettono al geco di camminare in verticale sulle
superfici o a certi grassi di essere solidi, come il burro, ad
esempio); ponti disolfuro
(legami forti tra gli atomi di zolfo, gli stessi legami che
determinano i capelli ricci. Questi legami non vengono distrutti dai
normali sistemi di denaturalizzazione, è necessaria una reazione
chimica di ossido-riduzione) e, in fine, effetto
idrofobico.
Con idrofobico si definisce qualsiasi cosa che non possa sciogliersi in acqua, mentre con idrofilico qualsiasi sostanza che lo possa fare. Alcuni
amminoacidi sono idrofilici altri idrofobici, ovvero, alcuni possono
solubilizzarsi in acqua altri no, come l'olio. Quando si trovano in
una catena proteica gli amminoacidi idrofilici tenderanno ad
avvicinarsi alle molecole d'acqua, quelli idrofobici ad
allontanarsi.
Siccome
le proteine acquisiscono la loro conformazione in acqua, la
principale forza che permette la formazione della struttura è
l'effetto
idrofobico.
Le altre interazioni avvengono quasi
come conseguenza e partecipano alla stabilizzazione della proteina.
Fanno eccezione i ponti disolfuro che vengono generati con l'aiuto di
un macchinario enzimatico e sono altamente specifici.
Un
detergente è una molecola molto particolare, perché è formata da una parte
idrofobica (repelle l'acqua) e una parte idrofilica (ha affinità per
l'acqua) dunque può interagire sian con le molecole d'acqua che con le sostanze idrofobiche allo stesso tempo, per quello sono in grado di “pulire”: con la parte
idrofobica si mescolano ai grassi, con quella idrofilica all'acqua.
Il sisultato è che aumentano la solubilità dei grassi (che sono le
sostanze organiche idrofobiche) nell'acqua.
Sulle
proteine agiscono allo stesso modo: con la parte idrofobica entrano
nelle “tasche” idrofobiche delle proteine e con quella idrofilica
restano a contatto con l'acqua. In questo modo le proteine si
“aprono” e perdono la loro struttura.
Tutto
ciò ci aiuta nella purificazione, perché ciò favorisce la
denaturalizzazione delle proteine strutturali (che mantengono la struttura della cellula). Inoltre non bisogna
dimenticare che i cromosomi non sono strutture formate da DNA
puro, ma da DNA complessato con proteine, come gli istoni, ad esempio, ai quali è arrotolato attorno. Per
purificarlo è necessario separare il DNA dalle proteine,
denaturalizzandole e rompendo i legami elettrostatici che formano con
quest'ultimo.
2)
L'inibitore delle nucleasi serve, appunto, per neutralizzare questi
enzimi e impedirgli di degradare il DNA. Per nostra fortuna il
processo è abbastanza semplice, in quanto la funzionalità di questi
enzimi dipende dalla presenza di cationi bivalenti (in parole povere
non funzionano in assenza di ioni Calcio, alcune e Magnesio,
altre), perciò basterà aggiungere alla nostra soluzione un agente chelante, ovvero una molecola che sequestra gli ioni
bivalenti come il Calcio e il Magnesio dall'ambiente in cui si
trovano.
Il
composto più utilizzato è solitamente l'EDTA
ad una certa concentrazione che dipenderà dal protocollo usato (da
notare che l'EDTA si usa anche come anticoagulante durante i prelievi
di sangue, in quanto gli enzimi che causano la coagulazione -
proteasi – sono anch'essi dipendenti dallo ione Calcio).
3) La soluzione tampone, come dicevo, serve per mantenere stabile il
pH.
Il pH non è altro che una misurazione dei protoni presenti in una soluzione, più sono concentrati, più è acida una soluzione. Ora, il valore di pH è molto importante, perché variando può compromettere l'esperimento ed è facile farlo variare, sia perché nella cellula ci sono compartimenti a diversi pH (e distruggendola si mescolerebbero) sia perché le sostanze che usiamo hanno pH diversi. E' dunque necessario preparare una soluzione speciale in grado di mantenere il pH più o meno costante anche aggiungendo sostanze acide o basiche.
Generalmente questa soluzione la si ottiene utilizzando una molecola chiamata
Tris, con la quale si prepara una soluzione a pH 8. E' importante che
il pH resti vicino al valore 8 in quanto a questa concentrazione
protonica il DNA aumenta la sua solubilità in acqua. E ciò ci
facilità la purificazione...
Preparata questa super soluzione fatta di detergente, inibitore di proteasi e soluzione tampone la si aggiunge alle cellule e si agita, in
modo da lisarle. Nel caso di tessuti si può usare anche un
omogeneizzatore.
A
questo punto molti aggiungono al lisato la Proteinasa K,
un enzima che degrada le proteine, suggerendo che ciò potrebbe
aumentare la purezza del DNA purificato. Per utilizzarla è
necessario lasciare il nostro campione tutta la notte a 37°C in
presenza di proteinasa K.
La
mia
esperienza personale
è che, non solo la proteinasa K ti fa perdere 12-15 ore di lavoro
spostando la fine della purificazione al giorno dopo, ma pure non migliora di molto il risultato finale... non ho mai notato differenze significative dall'usarla o no, se non
quella di aver perso mezza giornata.
Tra l'altro il suo utilizzo mi genera diverse perplessità:
degradando le proteine potrebbe generare polipeptidi (frammenti di
proteina) idrofilici impossibili da eliminare con il passaggio
seguente di denaturalizzazione.
Ma ovviamente questa è un'esperienza personale, nel lavoro quotidiano di laboratorio, ognuno cerca di ottimizzare i protocolli alle proprie necessità. Necessita che sono quasi sempre completamente diverse, anche lavorando su progetti simili.
La
denaturalizzazione e precipitazione delle proteine.
Come abbiamo visto il detergente ci offre un certo aiuto
nella denaturalizzazione proteica, ma non è sufficiente e,
soprattutto, non ci aiuta nella loro rimozione.
Per far ciò è necessario un altro passaggio.
In questo caso i protocolli si dividono in due tipi:
quelli che usano il fenolo e quelli che usano il cloruro di sodio
(sale da cucina).
Vediamoli entrambi.
Il
fenolo.
Come potete notare nell'illustrazione in basso, il fenolo è un composto definito aromatico formato dal benzene (esagono) più un gruppo chiamato ossidrilico (-OH).
![]() |
https://it.wikipedia.org/wiki/Fenolo |
Generalmente il gruppo ossidrilico è
idrofilico, ma nel caso del fenolo questa sua proprietà è
“limitata” (per via dell'anello aromatico del benezene che
“richiama” e stabilizza gli elettroni dell'ossidrile impedendogli di interagire con le molecole d'acqua. E se una sostanza non interagisce con le molecole d'acqua, non è solubile o è scarsamente solubile).
Da ciò consegue che il fenolo è un composto idrofobico
(non si scioglie in acqua) ma con una piccola propensione ad
interagire con sostanze idrofiliche (grazie all'ossidrile) questo gli
consente di avere una certa, piccola, solubilità in acqua, circa 84 g/l.
Un'altra molecola, il cloroformio, molto più idrofobico ha una solubilità
di 8 g/l, mentre il sale da cucina (cloruro di sodio), che è
idrofilico, 358 g/l.
Come potete notare ci sono vari stadi di “idrofobicità”.
[In natura ci sono gli estremi, ma ci sono anche i gradi intermedi e sono tutti fondamentali. Di fatto anche gli estremi non sono altro che due punti qualsiasi come gli intermedi, solo che sono all'inizio e alla fine di una scala creata dall'uomo. E' importante considerarlo quando si parla del concetto di Giusto mezzo. In natura semplicemente non esiste, ogni valore è importante alla stessa maniera, che sia a un estremo o no.]
[In natura ci sono gli estremi, ma ci sono anche i gradi intermedi e sono tutti fondamentali. Di fatto anche gli estremi non sono altro che due punti qualsiasi come gli intermedi, solo che sono all'inizio e alla fine di una scala creata dall'uomo. E' importante considerarlo quando si parla del concetto di Giusto mezzo. In natura semplicemente non esiste, ogni valore è importante alla stessa maniera, che sia a un estremo o no.]
Queste
caratteristiche rendono il fenolo un potente agente
denaturalizzante, infatti, come abbiamo visto, la struttura delle
proteine è determinata dal mezzo in cui sono disciolte.
Fisiologicamente questo mezzo è l'acqua.
Se noi le mettiamo nel fenolo, cambieranno la struttura
esponendo le parti idrofobiche e nascondendo le parti idrofiliche.
Ovvero si denaturalizzeranno. Una volta denaturalizzate difficilmente
ritorneranno alla loro conformazione originaria.
Dunque se noi aggiungiamo il fenolo alla nostra
soluzione contenente le cellule lisate e mescoliamo (il fenolo si
mescola poco con l'acqua, perché venga bene in contatto con le
strutture cellulari è necessario mescolare per agitazione) le
proteine subiranno il processo di denaturalizzazione e diverranno
molecole idrofobiche, dunque si separeranno dall'acqua e si
mescoleranno col fenolo.
A questo punto (e dopo aver centrifugato) otterremo due
(tre) fasi (vedere immagine di apertura), una superiore acquosa, in cui sarà disciolto il nostro
DNA e una inferiore organica, formata dal fenolo, dai lipidi e dalle
proteine denaturalizzate.
Una terza fase formata da proteine parzialmente
denaturalizzate e molecole anfipatiche (che hanno parti idrofobiche e parti idrofiliche e dunque possono interagire sia con l'acqua che con le sostanze idrofobiche) potrebbe venire a formarsi tra
la fase superiore e quella inferiore.
Sarà ora necessario separare la nostra fase acquosa (che contiene il DNA libero da proteine disciolto nell'acqua) e
ripetere nuovamente un passaggio di denaturalizzazione, questa volta
però utilizzando una miscela di fenolo:cloroformio.
Il cloroformio è un'altra molecola idrofobica con
potere denaturalizzante, anche se minore,
utile in questo caso per “depurare” la fase acquosa dal fenolo
presente.
Come detto sopra, il fenolo ha una certa solubilità e
resterebbe a contaminare la nostra “fase acquosa” contenente il
DNA, aggiungendo il cloroformio, mescolando e centrifugando
nuovamente si vengono a formare ancora due fasi: una acquosa,
contenete il DNA e una organica contenente fenolo, cloroformio e
altre proteine denaturalizzate non eliminate in precedenza. Il fenolo
precedentemente presente nella fase acquosa “seguirà” il
cloroformio, essendo più propenso a mescolarsi con quest'ultimo
piuttosto che con l'acqua.
E' importante che il fenolo sia equilibrato con un
buffer a pH 8 (come la soluzione di lisi) in quanto un pH acido diminuirebbe la solubilità del DNA, diminuendone la
quantità presente nella fase acquosa e impedendone la purificazione.
Il
cloruro di sodio.
Un'alternativa all'uso del fenolo consiste
nell'aggiungere alla nostra soluzione di cellule lisate una soluzione
sovrasaturata di cloruro di sodio.
Questo genera il fenomeno chiamato salting-out.
Le proteine restano disciolte in acqua grazie a una
“cappa” (cappa di solvatazione) formata dalle molecole di acqua
che interagiscono con le cariche elettrostatiche degli amminoacidi.
Questa cappa impedisce alle proteine di interagire tra loro e di
rimanere in sospensione.
Se noi aumentiamo la concentrazione di sale,
modifichiamo la disposizione spaziale delle molecole d'acqua. In
questo caso il cloruro di sodio è un sale “cosmotropico”, ovvero
auenta l'ordine nella disposizione spaziale delle molecole d'acqua.
Quest'ultime saranno più propense a creare un “reticolo”
ordinato di interazioni tra loro e gli ioni di sodio e cloro,
piuttosto che a interagire con le cariche degli amminoacidi.
Di fatto si “rompe” la cappa di solvatazione attorno
alle proteine e queste ultime potranno iniziare ad interagire tra
loro, formano complessi sempre più grandi e, alla fine,
precipitando.
Un fenomeno analogo avviene nella formazione dei Delta
dei fiumi. Le particelle di fango vengono trasportate in sospensione
dalla corrente del fiume, finché non arrivano al mare dove, a causa
dell'aumento della salinità, inziano a interagire fra loro
precipitando.
Un'altro effetto dovuto all'aumento della concentrazione
di cloruro di sodio è la rottura dei legami elettrostatici,
separando dunque le proteine dal DNA.
Una volta aggiunto il sale, mescolato e centrifugato,
otterremo una fase acquosa con il nostro DNA in sospensione e un
precipitato sul fondo del tubo di reazione formato dal sale e dalle
molecole precipitate per salting-out.
E' necessario a questo punto aggiungere cloroformio,
mescolare e centrifugare in modo da eliminare ulteriori proteine non
precipitate e altre molegole idrofobiche eventualmente presenti.
Quale
tecnica scegliere?
Dipende...
Col fenolo si ha un'estrazione molto più pura e rapida,
però è tossico e pericoloso.
Col sale la purezza e la quantità di DNA che si ottiene
è inferiore, però è una tecnica sicura.
Dunque, se si lavora con tantissimi campioni (e sono
abbondanti) si usa il sale, se si lavora con pochi e scarsi, il
fenolo.
La
precipitazione dell'acido nucleico.
A questo punto abbiamo una soluzione acquosa contenente
il DNA e varie impurità idrofiliche. Questa volta, per separare il
DNA dalle impurità, facciamo il contrario: facciamo precipitare
l'acido nucleico sul fondo del tubo di reazione ed eliminiamo la
soluzione acquosa con le impurità.
Per far ciò aggiungiamo 2-3 volumi di Etanolo al 100%
ghiacciato e 1/10 di volume di acetato di sodio 3M a pH 5,2.
In etanolo il DNA non sarà più solubile e precipiterà.
Ovviamente è sempre bene dargli una “spintarella” con la
centrifuga.
Il sale di acetato di sodio (il sodio nello specifico)
neutralizzerà le cariche negative del DNA che gli permettono la
solubilità interagendo con le molecole d'acqua. Mentre l'etanolo si
sostituirà all'acqua distruggendo anche in questo caso la cappa di
solvatazione della molecola. A questo punto accadrà qualcosa di
analogo visto con le proteine: le molecole di DNA interagiranno tra
loro formando una struttura macroscopica visibile a occhio nudo
(dipende dalla concentrazione del DNA) simile ad una medusa che,
centrifugando, precipiterà sul fondo del tubo di reazione.
Dal punto di vista chimico-fisico stiamo cambiando la
permittività elettrica del solvente.
Secondo la legge di Coulomb:

L'interazione/repulsione
tra due cariche (in questo caso tra molecole di DNA stbilizzate dal
sale) è direttamente proporzionale all'intensità delle cariche e
inversamente proporzionale al quadrato della distanza a cui si
trovano (più sono lontane, meno interagiscono) → q1*q2/d2
Però
è anche inversamente proporzionale al valore della permittività
elettrica del solvente → 1/εr.
Essendo
la permittività elettrica dell'acqua molto elevata, l'interazione è
limitata e dunque la solubilità è elevata, aggiungendo etanolo,
che ha una permittività elettrica più bassa, si aumentano le
interazioni tra le cariche, con la conseguente precipitazione del
DNA.
A questo punto si elimina la fase acquosa e si lava il
DNA con etanolo al 70%, per eliminare i sali presenti e poi si
risospende in acqua distillata.
Dopo di ciò il DNA è pronto per l'utilizzo. Studi genetici, di medicina forense, di diagnostica o di biologia molecolare, qualsiasi cosa si abbia intezione di fare e che riguardi i geni o il nostro DNA, il primo passo è sempre quello di estrarlo.
Anche se a noi interessa lo studio di un solo gene, dobbiamo iniziare estraendo tutto il DNA.
Nei prosimi articoli continuerò a raccontarvi di altre tecniche di biologia molecolare che fanno parte della pratica di laboratorio quotidiana di tantissimi ricercatori e che seguono l'estrazione di DNA e probabilmente lascerò anche qualche resoconto su quelli che sono gli ostacoli contro cui si sbattono tali ricercatori praticamente tutti i giorni, in fondo questo blog è seguito anche da qualche scrittore, magari trova l'ispirazione per caratterizzare al meglio qualche personaggio, visto che gli scienziati finiscono sempre per esser trasformati in macchiette esaltate o in tutto fare alla Archimede Pitagorico...
Come sempre, se avete dubbi, lasciate un commento.
Dopo di ciò il DNA è pronto per l'utilizzo. Studi genetici, di medicina forense, di diagnostica o di biologia molecolare, qualsiasi cosa si abbia intezione di fare e che riguardi i geni o il nostro DNA, il primo passo è sempre quello di estrarlo.
Anche se a noi interessa lo studio di un solo gene, dobbiamo iniziare estraendo tutto il DNA.
Nei prosimi articoli continuerò a raccontarvi di altre tecniche di biologia molecolare che fanno parte della pratica di laboratorio quotidiana di tantissimi ricercatori e che seguono l'estrazione di DNA e probabilmente lascerò anche qualche resoconto su quelli che sono gli ostacoli contro cui si sbattono tali ricercatori praticamente tutti i giorni, in fondo questo blog è seguito anche da qualche scrittore, magari trova l'ispirazione per caratterizzare al meglio qualche personaggio, visto che gli scienziati finiscono sempre per esser trasformati in macchiette esaltate o in tutto fare alla Archimede Pitagorico...
Come sempre, se avete dubbi, lasciate un commento.
buongiorno, sto studiando questi argomenti perchè a breve avrò un esame e questo articolo è riuscito a chiarirmi alcuni aspetti. la ringrazio molto :)
RispondiEliminatuttavia avrei dei dubbi. riguardo al secondo passaggio: come faccio ad essere certa, o meglio, abbastanza sicura che insieme al dna non precipitino anche delle proteine rimaste in soluzione perchè particolarmente solubili e non eliminabili con il passaggio fenolo/cloroformio o con il cloruro di sodio? o la quantità è talmente scarsa che non ce ne dobbiamo preoccupare? aggiungere invece la proteinasi k in questo momento dell'estrazione, cioè prima della precipitazione del dna per (eventualmente) rendere ancora più solubili le proteine rimaste in soluzione e creare così una differenza che ci aiuti nella purificazione, sarebbe un'eresia?
inoltre a me è sempre stato detto che le proteinasi K servono, assieme all'EDTA a eliminare/inibire le nucleasi. per quanto da lei osservato allora, a questo scopo, basterebbe solo l'EDTA?
scusi la confusione, grazie ancora.
Ciao Giulia, scusa per il ritardo nel rispondere.
EliminaSì, la contaminazione del campione può essere un problema. E non solo proteine, ma anche carboidrati o fenolo possono contaminare la nostra soluzione. Per questo durante la quantificazione del DNA, usando lo spettrofotometro, misuriamo l'assorbanza anche a 280 e 230 nm, i rapporti delle letture a 260 nm/280 nm e 260/230 ci danno un'idea della purezza del campione.
In caso di contaminazioni, che a volte possono compromettere i nostri esperimenti, è necessario ripetere le estrazioni. Di solito, con un po' di pratica, il risultato finale migliora. Nel caso di estrazioni "difficili", si può ricorrere a un kit commerciale.
Riguardo alla domanda sulla proteinasi K, sì, è riportata come proteinasi utilizzata anche per inattivare le nucleasi.
Come scrivevo, il protocollo di estrazione dipende molto dall'esperienza e dalla necessità. La mia esperienza è limitata alle estrazioni di DNA da colture cellulari e in questo ambito non ho notato differenze nel risultato finale usandola o no. L'EDTA è stato più che sufficiente. Suppongo ci siano casi in cui possa essere necessario usarla, dipende molto dal materiale di partenza da cui si vuole estrarre l'acido nucleico.
In bocca al lupo per il tuo esame!
Buonasera, ho fatto in casa l'esperimento dell'estrazione del DNA della banana. Ho due domande: Potresti dirmi in modo approfondito perchè il DNA diventa visibile con l'aggiunta dell'etanolo e perchè l'etanolo va utilizzato freddo (circa un'ora di freezer). inoltre qual'è il ruolo del sale (da cucina). In attesa di riscontro saluto cordialmente!
RispondiEliminaCiao Gianni, innanzitutto una premessa: il DNA non è sempre visibile dopo l'aggiunta di etanolo, dipende dalla quantità disciolta nella soluzione acquosa.
EliminaPremesso questo, diventa generalmente visibile perché le molecole di DNA, "precipitando" si aggregano tra loro in uno spazio limitato formando un complesso di dimensioni tali da essere visibile a occhio nudo. Per fare un esempio metaforico, centinaia di moscerini in uno spazio aperto vasto sono praticamente invisibili (a meno che non ci volino davanti alla faccia), però se iniziano a volare assieme formano una nube nera facilmente identificabile.
L'etanolo si usa generalmente freddo perché la temperatura modifica la solubilità delle sostanze (principio di Le Chatelier). Nel caso del DNA, alte temperature favorisco la sua solubilità dunque per farlo precipitare è meglio lavorare a basse temperature. Ma anche in questo caso dipende molto dal protocollo che si usa, se si lavora con parecchio materiale di partenza si può tranquillamente usare etanolo a temperatura ambiente e ottenere una buona quantità di DNA.
Il sale da cucina (cloruro di sodio) in alta concentrazione rende le proteine meno solubili e ne permette la precipitazione, così da poterle separare dal DNA.
CIAO, ho un dubbio, come posso avere la certezza, senza l'aiuto di uno microscopio (ecc..), che quello che ho prelevato è effettivamente DNA.
RispondiElimina