martedì 30 settembre 2014

Il più grande uomo scimmia del Pleistocene di Roy Lewis

www.adelphi.it
Articolo di: AleK

Premessa, non sono un fan de "Il più grande uomo scimmia del Pleistocene".

Lo ritengo un libro simpatico, molto intelligente e, probabilmente, sottovalutato, nonostante sia parecchio famoso e osannato, perché mi sembra che sia apprezzato per aspetti assolutamente secondari, come la parte umoristica legata agli anacronismi o quella relativa all'evoluzione dell'uomo scimmia.

Per fortuna nel libro c'è molto di più e sotto la superficie si nascondono parecchi temi interessanti e ancora oggi molto attuali ed è proprio riconoscendoli che si può apprezzare appieno la fine ironia di tutto il testo, che altrimenti sembrerebbe solo del banalissimo umorismo demenziale.

Molti di questi temi sono a me cari e ne avevo già parlato nell'articolo dedicato a Incontro con Rama e sono tutti gli aspetti umani...


...legati alla spiritualità e alla religione ovvero due artifici umani solitamente associati ad un "arricchimento" dell'umanità ma che, in realtà, possono catapultare quest'ultima dritta dritta verso il vuoto pneumatico cerebrale più spinto.

Perché le scoperte tecnologiche, quando usate male, possono essere molto pericolosa, lo insegna l'esperienza col fuoco che dovranno affrontare i protagonisti, ma la religione è sicuramente peggio ed è anche più subdola, perché dannosa a lungo termine e in maniera meno vistosa.
L'intelligenza di questo libro sta nel proporre una critica amplia che ingloba sia la ricerca (condotta male) della conoscenza che la tecnofobia, però senza limitarsi ad un banalissimo monito sulle "sicurezze scientifiche" che possono portare a manie di grandezza, ma mostrando al lettore come certe dinamiche umane siano in fondo figlie dell'ignoranza e della superstizione e che dunque non abbiano alcuna possibilità di "arricchire" un uomo, ma solo di farlo arretrare.
Tra i protagonisti, chi incarna la figura del proto-sciamano è proprio la voce narrante, che inizierà cadendo nell'ingenuità di una sorta di Superstizione del Piccione fino ad elaborare teorie di vita ultraterrena, arrivando ad asserire che le proprie intuizioni abbiano dato un vantaggio evolutivo all'uomo, nella caccia, pari all'invenzione delle bolas... il vero umorismo del libro è questo ed è molto, ma molto amaro.

Ma non è certo l'unico tema importante del libro: costantemente durante la narrazione, il protagonista (il padre della voce narrante) impegnato ad arricchire il patrimonio scientifico e tecnologico della famiglia e della specie, per poterle garantire la prosperità, dovrà scontrarsi con la parte più reazionaria della popolazione che vedrà le proprie scoperte come qualcosa di innaturale (il fuoco artificiale), dannoso (i cibi cotti) o addirittura come un impoverimento culturale (l'invenzione dell'arco, che toglie arte alla caccia, rendendola un'attività di massa). Praticamente le solite stantie discussioni di fronte ad ogni novità che ancora oggi ci affliggono...
Tutto questo fino al gran finale, dove chi ha tanto dato viene giudicato solo per i propri difetti, tra i quali spicca anche il difetto più grande e imperdonabile del quale possa macchiarsi un uomo: la generosità.

Che dire, probabilmente non è il libro più divertente che sia stato scritto, ma è un libro ancora oggi attuale, che andrebbe letto con attenzione e sul quale sarebbe necessario riflettere, perché la successione degli eventi messa in luce durante la narrazione, ancora oggi si ripete senza sosta. Tecnofobia, rifiuto della razionalità, predisposizione al credere a sciocche superstizioni incolpando la scienza, il progresso o comunque il cambiamento, dei mali dell'umanità, senza rendersi conto che è proprio questa assenza di pensiero, questo abbandonarsi all'irrazionalità, questo chiudersi attorno alle tradizioni che sta alla base delle divisioni tra gli uomini e che minaccia distruggere ogni giorno la società civile.

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